Chi non conosce il mito di Polifemo nell'Odissea?
Alcuni dicono anche che i faraglioni di Acitrezza, in Sicilia, siano proprio quelli scagliati dal ciclope verso Ulisse per bloccare la sua fuga.
La sua storia e la sua figura potrebbe avere una connessione con lo stereoscopio. Prima però, facciamo mente locale leggendo questo breve riassunto della vicenda:
Polifemo (dal greco antico Polýphemos, che significa “loquace, che parla molto”) è il nome di un personaggio della mitologia greca. Un ciclope, creatura mostruosa e gigantesca, dotato solamente di un occhio. Era figlio di Toosa, ninfa marina, e di Poseidone. La mitologia classica definisce Ciclopi sia i figli di Urano e di Gaia, sia gli appartenenti a un’antichissima popolazione. Il popolo dei Ciclopi è ricordato anche dallo storico Tucidide. Omero li descrive come un popolo di Giganti antropofagi, forti e dediti alla pastorizia, caratterizzati da enormi dimensioni e dal possesso di un unico occhio in mezzo alla fronte.
La figura di Polifemo è parecchio ricorrente nella mitologia greca. Il ciclope è però ricordato soprattutto per il suo ruolo all’interno del poema omerico l’Odissea. Omero narra che Ulisse, tra le varie peripezie del suo nostos, il viaggio di ritorno a Itaca da Troia, sbarcò nella terra dei Ciclopi (ossia la Sicilia orientale).
Ulisse era un uomo estremamente curioso; decise, così, di visitare la caverna di Polifemo, ignaro della presenza della creatura mostruosa che l’abitava. Durante la visita nella caverna, in cerca di cibo e viveri, i compagni di Ulisse vennero catturati dal ciclope. Alcuni vennero addirittura divorati vivi.
Ulisse, mettendo alla prova il suo ingegno e la sua astuzia, escogitò un piano per fuggire. Fece addormentare Polifemo, facendolo ubriacare con un ottimo vino, e, nel frattempo, fece bruciare la punta di un grande tronco di ulivo. Con essa, Ulisse e i compagni, accecarono l’unico occhio del Ciclope.
Polifemo dilaniato dal dolore si svegliò, cercando l’aiuto dei suoi fratelli. Ma Ulisse – che prima di addormentarlo si era presentato come Nessuno – era già pronto alla fuga. Quando i fratelli chiesero al ciclope cosa fosse successo egli urlava che Nessuno lo aveva accecato, ottenendo solo risa e scherno.
«Perché, Polifemo, con tanto strazio hai gridato
nella notte ambrosia, e ci hai fatto svegliare?
forse qualche mortale ti ruba, tuo malgrado, le pecore?
o t’ammazza qualcuno con la forza o d’inganno?»
E a loro dall’antro rispose Polifemo gagliardo:
«Nessuno, amici, m’uccide d’inganno e non con la forza.
E quelli in risposta parole fugaci dicevano:
«Se dunque nessuno ti fa violenza e sei solo,
dal male che manda il gran Zeus non c’è scampo;
piuttosto prega il padre tuo, Poseidone sovrano».
Ed è proprio qui che entra in gioco il nostro stereoscopio.
Come sarebbe andata se Polifemo avesse potuto per tutta la sua vita percepire la profondità?
Potrebbe sembrare banale, ma come sarebbe cambiata la visione del mondo che lo circondava?
Come lo avrebbe condizionato?
Chissà come sarebbe andato il mito e la storia di Polifemo se solo avesse potuto avere uno stereoscopio magico in grado di donargli la vista di due occhi, la magia che ci regala uno stereoscopio nel riguardare delle immagini che hanno le stesse caratteristiche del mondo che vedeva Polifemo.
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